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sant'alberto magno
di P. Gerardo Cioffari OP
La corrente intellettualistica e quella spiritualistica inizialmente non avevano spinto lo scontro a livelli elevati perché l’intellettuale domenicano era ancora prevalentemente agostinista e platonico, e quindi dava ancora notevole spazio alla fede, al sentimento, al cuore. Poco a poco però le cose cambiarono e, man mano che la dialettica e la logica aristotelica si facevano strada, il tono dello scontro diveniva più acceso. Colui che liberò il campo da equivoci e confusioni, rendendo più netto il confronto e operando la grande svolta in senso aristotelico fu Alberto Magno, (1206-1280)[1] che, per la vastità del suo sapere, divenne noto come Doctor Universalis.
Di quanto la lotta all’interno dell’Ordine fosse aspra ne è testimonianza un brano che si trova verso la fine del suo commento alla Politica di Aristotele: Dico questo per certi pigri che cercano conforto alla loro pigrizia andando a caccia di errori negli scritti altrui. E poiché dormono nella loro pigrizia, per non sembrare i soli a dormire, cercano di attribuire macchie agli eletti. Tali furono coloro che uccisero Socrate, esiliarono Platone da Atene e, con le loro macchinazioni, costrinsero anche Aristotele ad andarsene[2]. Il richiamo all’uccisione di Socrate, all’esilio di Platone e alle pressioni che costrinsero Aristotele a lasciare la città farebbe supporre che gli spiritualisti spingessero gli studiosi di scienze profane a lasciare l’Ordine. A tali pressioni Alberto reagiva con durezza: Alcuni che non capiscono niente, in tutti i modi vogliono combattere contro l’uso della filosofia. Questo si verifica in modo particolare tra i Predicatori, dove nessuno si oppone loro. Sono come degli animali bruti che bestemmiano ciò che ignorano[3]. Altri frati invece sostenevano e incoraggiavano la sua grande opera, come ben indica questo brano all’inizio del commento alla Fisica di Aristotele: Nostro intendimento nel parlare di cose naturali, è fare cosa grata ai confratelli del nostro Ordine. Da parecchi anni essi ci pregano di scrivere i nostri pensieri intorno ai fenomeni della natura, che possano loro servire come corso completo di scienze naturali. Quantunque sappiamo per prova di non avere forze sufficienti per un simile lavoro, non abbiamo potuto resistere alle loro preghiere e, vinti da tante insistenze, abbiamo intrapreso questa grande fatica, anzitutto per la gloria di Dio onnipotente, fonte di sapienza, creatore, conservatore e signore della natura, e poi per utilità dei nostri confratelli e di tutti coloro che, leggendo questi libri, vorranno avere qualche cognizione di cose naturali[4].
Sia per inclinazione personale che per soddisfare la richiesta dei frati, Alberto Magno si propose dunque un programma di notevoli proporzioni[5]. Per realizzarlo scrisse circa 140 opere, che coprono praticamente tutto lo scibile sacro e profano del medioevo. Tale programma prevedeva la ricerca di tutti gli strumenti conoscitivi allora a disposizione al fine di una sistemazione sia del sapere in genere che della teologia. Nostra intentio est, scriveva all’inizio del suo commento alla Fisica di Aristotele, omnes dictas partes (physicum, metaphysicum et matematicum) facere Latinis intelligibiles[6].
Sullo sfondo c’era dunque il convincimento che la verità scientifica è in armonia con quella rivelata, e quindi che vi siano la possibilità e l’opportunità di spazzare via ogni timore verso gli ultimi ritrovati della scienza. E dato che la questione di attualità era l’irruzione di Aristotele nel mondo intellettuale per il tramite dei commentatori arabi ed ebrei, Alberto decise di rivalutare il pensiero greco e proporre il vero pensiero di Aristotele. Questi, anche nel corso del primo millennio, non era sconosciuto agli ambienti cristiani. Tuttavia, essendo diffusa la tesi che il suo pensiero portasse all’ateismo, i cristiani l’avevano usato solo per gli scritti di logica e dialettica. Per questo motivo tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo i papi si erano mostrati molto reticenti a permettere il suo studio nelle università. Alberto invece era convinto che Aristotele avesse qualcosa da dire anche in fisica e metafisica.
Cominciò così la serie dei commentari alle principali opere aristoteliche, rifacendosi alle traduzioni di Boezio, o alle recenti traduzioni arabe ed ebraiche, nonché a quelle direttamente dal testo greco ad opera di Guglielmo di Moerbecke, dotto filologo domenicano. Inizialmente, testo e commento si mescolavano.
Delineando il metodo di Alberto, la Vanni Rovighi parla giustamente di parafrasi. In altri termini Alberto si discostava alquanto dal rigoroso metodo scolastico, per il quale prima veniva la citazione del brano originale e poi il commento del filosofo o del teologo. Alberto non citava. Esponeva come suo il pensiero di Aristotele, usando un suo linguaggio. La ricerca della verità si imponeva rispetto al metodo filologico, per cui qua e là il testo aristotelico veniva integrato con testi di filosofi più recenti, quali Alfarabi, Avicenna e Avicebron, se non addirittura dei padri della Chiesa, Agostino in testa. Egli stesso così caratterizzava il suo metodo: Il nostro modo in quest’opera sarà quello di seguire l’Ordine e le teorie di Aristotele, e di dire tutto quello che mi parrà necessario per spiegare e dimostrare la sua dottrina, senza citare il testo. Farò anche delle digressioni, per chiarire i dubbi che possano sorgere, e supplire a ciò che, non essendo stato detto da Aristotele, può dar luogo a oscurità[7]. Questo andare diritto al contenuto caratterizzò gran parte delle opere di Alberto. Una maggiore attenzione nel distinguere il pensiero di Aristotele dal suo si può notare però nei suoi commenti all’Etica e soprattutto alla Politica.
Aristotele e l’esperienza
Il considerare Aristotele come il momento più alto della razionalità umana e l’averlo scelto come via per un riordinamento organico di tutto il sapere (incluso quello teologico), fu la grande svolta operata da Alberto. Il che non significa che prese un atteggiamento di servilismo. Quando si trattava di verità fondamentali della fede tornava ad Agostino, come quando argomentava sulla creazione divina dell’anima umana individuale. Nel commento alla Fisica rilevava che Chi crede che Aristotele era un Dio, deve anche credere che non ha mai sbagliato. Ma se noi riteniamo che era soltanto un uomo, allora, senza alcun dubbio, ha potuto sbagliarsi al pari di noi[8].
Si rifà, invece, ad Aristotele nella soluzione del problema se l’anima spirituale sia comprensiva o meno dell’anima sensitiva, vegetativa ed intellettiva. E come per Aristotele la forma era una (quella intellettiva racchiudendo in sé anche quella vegetativa e sensitiva), così per Alberto l’anima spirituale è in cima alla gerarchia delle forme. Di conseguenza egli affermava l’unità della forma nella molteplicità delle operazioni[9].
La teoria della conoscenza di Alberto non presenta tentennamenti. La conoscenza parte dai sensi e giunge all’intelletto, il quale si muove nella sua duplice funzione di agente e di passivo. Non esistono altri modi di conoscenza, come quello basato sulle idee innate o su altre forme di apriorismo o di ontologismo. Ad affermare questo indirizzo razionalistico dell’indagine, Alberto pronunciò quella famosa frase secondo la quale quando i filosofi e i teologi sono in disaccordo, bisogna credere ad Agostino piuttosto che ai filosofi in ciò che concerne la fede e i costumi. Ma se si tratta di medicina io crederei piuttosto ad Ippocrate e Galeno, e se si tratta di fisica credo ad Aristotele, perché è lui che conosce ottimamente la natura. Alberto afferma dunque l’autonomia della ragione, ma non la sovranità assoluta dell’argomento logico teorico. In altri termini se al filosofo spetta di parlare con argomenti di ragione (Philosophi enim est, id quod dicit, dicere cum ratione), quando ci si muove nelle scienze entra in gioco un altro metodo, quello dell’esperienza diretta. Nel De vegetalibus, ad esempio, ricorda che l’esperienza soltanto dà la certezza in tali argomenti, giacché intorno a fenomeni così particolari il sillogismo non ha valore. Come giustamente fa notare G. M. Merlo[10], Alberto con questa presa di posizione dimostra come ben prima di Francesco Bacone abbia “intuito il valore del metodo induttivo”. Ed analogamente H. Stadler attestava che Alberto era un osservatore di prima categoria, e se lo sviluppo delle scienze naturali avesse proseguito la strada intrapresa da Alberto, avrebbe evitato un giro di trecent’anni[11].
Sono Mandonnet e Gieraths che si sono soffermati su questo punto. Il secondo offre una descrizione che rende bene la figura dell’uomo e dello scienziato:
La vita all’aperto del giovane Alberto, cacciatore appassionato che percorreva selve e montagne, era fatta per favorire la sua naturale inclinazione alla ricerca scientifica. Tale interesse durò in lui tutta la vita, cosicché egli poté raccogliere una grande mole di osservazioni. Nessuna classe di animali sfugge al suo occhio attento, dal vertebrato all’invertebrato, dal mammifero al pesce, dall’uccello al serpente. Nella sua cella si fermava lunghe ore per osservare il ragno che tesseva con arte la tela e tendeva con accortezza alla preda. Nel giardino conventuale di Colonia sedeva per giorni accanto ad un alveare o ad un formicaio per studiare nei minuti particolari la vita delle api industriose e delle previdenti formiche. A Venezia la sua attenzione è attirata dalla strana figurazione di un marmo ed esamina la struttura dei blocchi. A Padova lo colpisce il gas asfissiante di un pozzo ostruito, i cui miasmi avvelenati uccidono due operai, ed investiga le cause.
Alberto usava altresì le esperienze, diremo oggi, di laboratorio. Così pure nella storia della chimica occupa un posto speciale. Purificava l’oro con la calcinazione, lo separava dall’argento mediante l’acquaforte, investigava gli effetti della combinazione dello zolfo coi metalli. A motivo di questi esperimenti, il popolo nelle sue leggende fece di lui un alchimista e un mago. Alberto infine è stato riconosciuto come geografo, egli rivela idee originali circa gli argomenti adottati per dimostrare la forma rotonda della terra. A lui si deve una cosmografia descrittiva che, tre secoli dopo, servì a Cristoforo Colombo. Tra i tesori conservati nella Biblioteca di Siviglia si può vedere anche oggi un codice di Alberto Magno postillato da Cristoforo Colombo[12].
Come si vede, Alberto era giunto alla teologia da un entroterra scientifico e filosofico. Egli si interessò di tutto l'universo. Il naturalista G. Wimmer espresse bene questo concetto quando scrisse che Alberto ha studiato e descritto tutto l’universo, dalle stelle alle pietre[13].
Nell’opera De vegetalibus et plantis accenna al metodo impiegato : Quanto io scrivo sulle diverse specie vegetali l’ho osservato personalmente, ed in parte l’ho raccolto dalle relazioni di quelli che si sono accuratamente occupati di questa materia[14]. E che veramente egli dia il primo posto all’esperienza personale lo si riscontra nel De animalibus, allorché scarta parecchie tesi esposte da Plinio nella Naturalis Historia, proprio sulla base del fatto che la sua osservazione diretta non confermava tali tesi.
La teologia: scientia affectiva
Su questi presupposti si comprende bene la passione con cui Alberto difese la legittimità del metodo razionale nelle scienze, come nella filosofia e nella teologia. La base aristotelica in teologia fu però sempre relativa, essendo ancora forte la tradizione agostiniana. Pur essendo più che convinto dell'armonia e della legittima autonomia fra scienza e fede, Alberto in teologia si mosse con precauzione. Fu autore di un "Commento alle Sentenze", di una "Summa de creaturis " e di una "Summa theologica”. Ed è proprio nel prologo a quest’ultima opera che viene delineata la sua concezione della teologia. Questa è definita sì una scienza, ma una scienza particolare: scientia secundum pietatem, o anche una scientia affectiva, nella quale si apprende più con l’orazione che con la speculazione. L’elemento platonico nella teologia di Alberto era dunque ancora molto forte, mentre Tommaso, il suo discepolo, aderendo completamente ad Aristotele riduceva quasi fino all’eliminazione la componente emotiva.
Nel Commento alle Sentenze egli distingue due tipi di conoscenza di Dio, quella filosofica e quella per fede. La prima si muove esclusivamente nell’ambito della ragione, mentre la seconda ricorre ad altri dati. Le premesse della prima devono essere immediatamente evidenti, mentre la seconda presuppone un lumen infusum che illumina la ragione e guida la volontà. La prima prende le mosse dal mondo creato, la seconda dal Creatore stesso. Mentre la prima non dice quid sit Deus, la seconda tenta qualche cenno. In generale la filosofia procede teoreticamente, la fede secondo un intelletto affettivo[15].
Nonostante la sua passione per gli argomenti scientifici, Alberto aveva dunque una grande sensibilità per la teologia, non tanto come scienza quanto come sapienza[16]. Non per nulla fu l'unico pensatore medioevale a scrivere i Commenti a tutte le opere dello Pseudo-Dionigi, che servirono allo sviluppo della mistica tedesca. Questi commenti allo Pseudo-Dionigi mostrano la poliedricità intellettuale di Alberto, rispetto ad esempio a Tommaso d’Aquino. Mentre Tommaso, una volta fatta la scelta di Aristotele, si mantiene coerente per tutto lo sviluppo del suo sistema (dando così un’impressione di maggiore coesione e magnificenza al tutto), Alberto rivela la sua continua ricerca. Come già aveva staccato la sperimentazione dal sillogismo aristotelico, così anche in teologia rimane sempre con la convinzione di altri approcci. In questo caso l’approccio, per così dire mistico, dell’Oriente non viene valutato soltanto nella cornice scolastica, ma viene proposto in tutta la sua ricchezza e fascino. Lo stesso errore di attribuirgli scritti mistici, che in realtà sono di Giovanni di Kastl (il De adherendo Deo), testimonia della stima nei suoi confronti anche dal punto di vista della spiritualità.
La possibilità di tali equivoci ed indebite attribuzioni ha una sua spiegazione. Sia Alberto che Tommaso consideravano lo Pseudo-Dionigi un aristotelico che confutava Proclo. Il primo però vi scorgeva, più di Tommaso, la presenza di importanti elementi platonici. Ad esempio nello stabilire il rapporto fra l’essere creante (Dio) e l’essere creato (il mondo), Alberto non riteneva che l’atto della creazione partisse direttamente dall’essenza di Dio: Dio non è causa immediata di tutte le cose per essenza (Deus non sit immediata causa omnium per essentiam), cosa di cui invece Tommaso era convinto: Nella sua essenza semplice, tutte le cose preesistono virtualmente, e similmente si rapporta a tutte le cose in quanto causa, rimanendo tuttavia in sé stesso ( In sua simplici essentia, omnia virtualiter preexistunt; et similiter secundum idem procedit ad omnia causative et tamen manet in seipso). Per S. Tommaso cioè Dio nella sua essenza è causa totale di ogni essere anche nella sua singolarità. Per Alberto invece Dio ha nella sua essenza le rationes degli esseri, le quali mentre nella realtà materiale differiscono essenzialmente, in Dio preesistono in unitatem divinae essentiae. In altri termini, mentre Tommaso è fedele alla sua idea dell’essere semplice ed assoluto, Alberto è più sensibile alle manifestazioni di Dio nella pluralità, e particolarmente come fonte di luce (donde la falsa attribuzione a lui delle opere di Giovanni di Kastl, nelle quali molto vivo è il tema della luce ogni volta che si parla di Dio). Si tratta tuttavia di accenti diversi, non di vere e proprie contrapposizioni, come dimostra un brano del commento albertino al De divinis nominibus, molto apprezzato da Tommaso: Dio è causa che comunica la sostanza ad ogni essere, che cioè dà l’essere a tutte le cose, ... da lui nel quale si ritrova l’essere semplicemente e perfettamente, è necessario che vi sia l’essere in tutte le altre cose; ma l’essere semplice e perfetto si ritrova in Dio, dunque è da lui che proviene l’essere in tutti gli enti (Deus est causa substantificatrix totius esse, id est dans omnibus esse … ab eo in quo invenitur esse simpliciter et perfecte, oportet quod sit esse in omnibus aliis; sed esse simpliciter et perfecte invenitur in Deo; ergo ab ipso est esse in omnibus entibus) [17].
Brani come questo sono tuttavia rari. Per il resto Alberto è più sensibile di Tommaso a salvaguardare la sensibilità neoplatonica prescolastica. Aristotele viene fortemente temperato dalle esigenze della spiritualità della comunione con Dio e quindi l’azione di Dio nel mondo e nell’uomo è più evidente che in S. Tommaso. Quest’ultimo infatti è tutto preso dal desiderio di stabilire la differenza metafisica fra l’ente creato e l’ente increato che è Dio.
Tra i temi di teologia Alberto si soffermò particolarmente ad approfondire il rapporto fra la generazione del Figlio e la processione dello Spirito Santo. E lo stesso vale per la mariologia, tema che Alberto trattò ex professo, anche se sull’autenticità di alcuni scritti c’è qualche perplessità[18]. Né è da trascurare il suo apporto sulla dottrina dell’eucarestia[19]. Su quest’ultimo punto c’è anche la testimonianza dello storico domenicano Bernard Gui: Circa la fine dei suoi giorni scrisse un libro sul Sacramento dell’altare, nel quale in poche pagine dimostra e la sincerità della sua fede in Dio, e il fervore della sua devozione al sacratissimo mistero della Incarnazione, nonché l’eccellenza della sua scienza delle Sacre Scritture[20].
Forse, se i Domenicani avessero meglio equilibrato l’apporto di S. Tommaso con quello di Alberto, avrebbero evitato tante astrusità della seconda scolastica e avrebbero avuto maggiori potenzialità nel dialogo ecumenico con l’Oriente. Non per nulla la mistica renana, risalente proprio ai commenti di Alberto su Dionigi, riflette molto da vicino la contemporanea teologia e spiritualità bizantina dell’esicasmo (col suo concetto di luce increata e di deificazione).
[1] Nato a Lauingen (Svevia) verso il 1193 (secondo Mandonnet ed altri, 1206) in una famiglia (Bollstädt) dalle tradizioni militari. Il padre era al servizio dell’imperatore. Un aspetto questo che forse non fu estraneo al viaggio che egli fece in Lombardia insieme allo zio. Studiò a Bologna e quindi a Padova, dove incontrò fra Giordano di Sassonia, già maestro di matematica a Parigi ed ora successore di S. Domenico alla guida dell’Ordine. Fu l’ascolto della parola del beato Giordano a convincerlo ad entrare nell’Ordine domenicano nel 1223. Le sue qualità intellettuali furono ben presto note a tutti, tanto che fu chiamato come lettore in diversi conventi tedeschi, finché a Parigi non ebbe il titolo di maestro in Sacra Teologia (1245). Nel 1248 fu chiamato ad organizzare lo studio generale di Colonia (e fu in quegli anni che ebbe come discepolo S. Tommaso d’Aquino), ove rimase fino al 1254. Qualche anno dopo andò a Roma e poi a Viterbo con l’incarico di lettore alla Curia Romana. Nel 1257 tornava a Colonia ove, oltre che all’insegnamento si dedicò a missioni pacificatrici. Fu priore provinciale, e nel 1259 con s. Tommaso e Pietro di Tarantasia al capitolo generale di Valenciennes redasse il programma degli studi domenicani (Ratio studiorum). Nel 1260 fu eletto vescovo di Ratisbona, ma già l’anno dopo, avendo riorganizzato la diocesi, preferì tornare tra i frati. Partecipò al concilio di Lione, e nel 1277 a Parigi difese S. Tommaso dagli attacchi che presto gli erano stati rivolti. Morì a Colonia il 15 novembre 1280. Su di lui, vedi Girolamo Wilms, S. Alberto Magno, nonché James Weisheipl, Alberto Magno e le Scienze, entrambi dell’Ed. Studio Domenicano di Bologna.
[2] In octo libros Politicorum Aristotelis, lib. VIII, cap. 6. Citato da Sofia vanni Rovighi, Introduzione a Tommaso d’Aquino, Editori Laterza, Bari-Roma 2002, p. 12.
[3] Alberto Magno, In Epistolas Dionysii Areop., Ep. VII, n. 2. Cfr. Chenu, La teologia, cit., p. 46. Anche M. Grabmann, L’influsso di Alberto Magno sulla vita intellettuale del Medio Evo, 2ª ed., Scuola Tip. Missionaria Domenicana, Roma 1931, p. 9; citato da Raimondo Spiazzi, I valori della cultura umana e la fede, in “Sant’Alberto Magno. L’uomo e il pensatore”, a cura della Pontificia Università S. Tommaso di Roma, Massimo, Milano 1982, p. 91.
[4] Cfr. Physica, lib. I, cap. 1.
[5] La prima edizione completa delle opere di Alberto Magno si deve a Pietro Jammy (21 volumi, Lione 1651). Poi nel 1890 Auguste Borgnet ne curò un’altra (38 volumi, Parigi a partire dal 1890). Infine l’Istituto di S. Alberto Magno di Colonia nel 1951 ha avviato la Sancti Doctoris Ecclesiae Alberti Magni Opera Omnia.
[6] Cfr. Physica, lib. I, tract. 1, cap. 1 (ed. Borgnet, III)..
[7] Liber primus Physicorum, in Alberti Magni Opera omnia, a cura di Borgnet. vol. III, Parisiis 1890, pp. 1-2. Citato da Sofia Vanni Rovighi, Introduzione, p. 12.
[8] Ivi, lib. VIII, tract. 1, cap. 14 (ed. Borgnet, III, p. 87).
[9] Cfr. L. De Simone, Alberto Magno, in Enciclopedia filosofica, a cura del Centro di Studi Filosofici di Gallareate, Venezia-Roma, 1957, col. 125. Sofia Vanni Rovighi, Alberto Magno e l’unità della forma sostanziale nell’uomo, in “Medioevo e Rinascimento”, Miscellanea Nardi, pp. 755-778.
[10] Grande Dizionario Enciclopedico. Utet, I, p. 350.
[11] Cfr. H. Stadler, Verhandlungen deutscher Naturforscher und Aerzte, I, Leipzig 1909, p. 35.
[12] Cfr. Paul Gundolf Gieraths, Vita e personalità di Alberto Magno, in “Sant’Alberto Magno. L’uomo e il pensatore”, cit., pp. 31-32; Anche P. Mandonnet, Les idées cosmologiques d’Albert le Grand et de S. Thomas d’Aquin et la découverte de l’Amérique, in Revue Thomiste, 1 (1893), pp. 46-64, 200-221.
[13] Cfr. G. Wimmer, Deutsches Pflanzenleben nach Albertus Magnus, Halle 1908, p. 8.
[14] Lib. I, tract. I, c. 12.
[15] Commento alle Sentenze, Lib. I, dist. III, art. 3. Su questi temi che coinvolgono il rapporto di Alberto con l’Averroismo vedi B. Nardi, La posizione di Alberto Magno di fronte all’Averroismo, in “Studi di filosofia medioevale”, Roma 1960, pp. 119-150; A. Masnovo, Alberto Magno e la polemica averroistica, in “Rivista di filosofia neoscolastica”, 24 (1932).
[16] Cfr. A. Rohner, De natura theologiae iuxta S. Albertum Magnum, in Angelicum 16 (1939), pp. 1-23.
[17] In De divinis nominibus, in Opera Omnia, ed. Geyer, Münster 1951, pp. 310a-311b, citato da Edward Booth, o.p., Conciliazioni ontologiche delle tradizioni platonica e aristotelica in Sant’Alberto e S. Tommaso, in “S. Alberto Magno. L’uomo e il pensatore”, cit., p. 80. Sulla creazione ab aeterno, vedi invece: J. Hansen, Zur Frage der anfanglosen und zeitlichen Schöpfung bei Albert dem Grossen, in „Studia Albertina“ (Miscellanea Geyer), Münster 1952, Beiträge, Supplementband IV, pp. 167-188.
[18] Cfr. M. Grabmann, L’influsso di Alberto Magno, cit., p. 56; anche A. Fries, Die unter dem Namen des Albertus Magnus überlieferten mariologischen Schriften, Münster 1954.
[19] Cfr. A. Piolanti, Il corpo mistico e la sua relazione con l’Eucarestia in Alberto Magno, Roma 1939.
[20] Cfr. M. Grabmann, L’influsso di Alberto Magno, cit., pp. 61-62.
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